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June Almeida, la virologa che scoprì il coronavirus

Quando June Almeida raggiunse l’apice del suo microscopio e vide i coronavirus negli anni ’60, non si rese quasi conto che stava scoprendo un agente patogeno che tormenterà l’umanità quasi sei decenni dopo.

La pandemia di Covid-19 in corso ha portato in primo piano i risultati scientifici di June Almeida (1930-2007), che fino ad ora sono rimasti trascurati.
La sua storia è fatta di determinazione, duro lavoro  e passione per la ricerca della scienza.

Primi anni di vita e umili inizi

June Dalziel Hart nacque il 5 ottobre 1930 al 10 Duntroon Street, Glasgow, da Jane Dalziel (nata Steven) e Harry Leonard Hart, un autista di autobus.
Nel 1947, quando aveva 16 anni, lasciò la scuola, nonostante le sue capacità, in quanto non aveva i mezzi finanziari per frequentare l’università.
Iniziò a lavorare come tecnico di istopatologia, dapprima presso la Royal Infirmary di Glasgow e poi presso l’ospedale St Bartholomew,  dove lavorò fino al 1954.

Nel 1954 venne assunta come tecnico di microscopia elettronica presso l’Ontario Cancer Institute, dove lavorò per dieci anni. Mentre lavorava come elettromicroscopista, realizzò insieme ai suoi colleghi del Cancer Institute una serie di studi che applicavano la colorazione negativa ai problemi clinici.

Nel 1963 fu la prima di tre autori a pubblicare un articolo sulla rivista Science in cui venivano identificavate particelle simili a virus nel sangue dei malati di cancro. Nel 1963 pubblicò la sua ricerca nella quale “era riuscita a segnare negativamente aggregati di antigene … e anticorpi” con il microscopio elettronico

La scoperta del Coronavirus

Quando June lavorava al St. Thomas’s Hospital fu contattata da David Tyrell, direttore del Common Cold Research Center di Salisbury. L’obiettivo della ricerca di Tyrell era identificare le cause del raffreddore comune. Nei laboratori di Salisbury stava studiando campioni di lavaggio nasale e tampone faringeo da volontari per identificare la natura del virus. Il suo gruppo è riuscito a coltivare il virus in colture di organi. Un campione particolare, chiamato B814, che era un tampone nasale di scolari adolescenti del Surrey, è stato inviato a June Almeida per l’identificazione. Questo virus causava alcuni sintomi inspiegabili, come problemi alle vie respiratorie.

June attraverso il suo microscopio, ha notato delle proiezioni simili a punte sulla superficie del virus. Ciò ricordava un’infiammazione del fegato da epatite nei topi e un’infezione da bronchite nei polli che aveva osservato in precedenza.  Si accorse dunque che si trattava di un nuovo gruppo di virus precedentemente sconosciuto.

June, insieme a Tyrell e Waterson, ha inventato il termine “Coronavirus”, a causa dell’aspetto a forma di corona (corona = corona in latino) della membrana esterna del virus.

La sua ricerca sancì la scoperta del Coronavirus.

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