La vecchina abitava da anni (duecento? trecento?) sulla montagna più alta del presepio. Il presepio era quello che sta a Roma, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, tra le rovine dei Fori Imperiali ed è uno dei più belli del mondo, con montagne, burroni, castelli, villaggi, palazzi, ponti, ovili, osterie, negozi, e migliaia di finestre aperte e dentro si vede la gente vivere. Ma la gente vive per lo più nelle strade, come a Napoli: centinaia e centinaia di figurine che vivono, comprano e vendono pesci, prosciutti, fichi secchi, castagne, caciotte.
E scale, scalette, scalinatelle: tutto un labirinto festoso su cui scendono gli angeli a grappoli dal soffitto, e un lungo corteo di mori, cammelli, cavalli accompagna i Re Magi, e bambini accorrono incuriositi, ragazze ballano la tarantella per far onore agli ospiti, si mesce il vino, si drizzano tende ricche come regge.
Sulla collina più alta, nella casa più povera del villaggio, abitava la vecchina, e anche lei, la notte di Natale, si annodò in testa il fazzoletto più bello, preparò un fagottello di pomodori seccati al sole da portare in dono, e si incamminò a piccoli vecchi passi giù per un sentiero ripido, rotto ogni tanto da un mazzetto di gradini. Piano, piano, andava più piano di tutti. Ben presto la superò un gruppo di giovani e in mezzo a loro ce n’era uno che suonava la fisarmonica.
- Coraggio, nonnetta - la salutarono.
- Non è il coraggio che manca,- rispose, fermandosi a guardarli.
- Andate, andate, belli di mamma vostra.-
Ma quelli erano già arrivati in fondo alla valle, come un’allegra valanga.
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